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al testo di Diego Bello
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Saldi al contado nell’Apulia mia tiravano a campare due compari, un asino per uno in sorte ria. Assenti in quelle lande i lupanari ogni anima sperava che la notte desse la stura a sogni e altri ripari.
Passati i tempi bui del nulla a frotte sembrò la sorte uno di lor lambire. In sogno gli soffiò su per le rotte d’inganno d’Ostro in modo alle sue mire. - In tale posto recati per l’oro con le bisacce e l’asino - il suo dire.
All’alba già sbuffava come un toro che spifferò all’amico quell’arcano perché con l’asino s’unisse al coro. Ma questi infastidito dal baccano negò l’aiuto e sentenziò: - se intende sull’uscio la fortuna molla il grano.
Tratta la bestia a sé levò le tende promessa ch’ebbe parte del bottino. Con gli asini a cavezza e senza mende alfine giunse al posto del destino. Qui trovò un fosso largo come un guazzo ricolmo sino all’orlo d’oro fino.
Scie di diamanti gli occhi a mo’ d’un lazzo e con le mani concave a saccate empiva le bisacce in un gavazzo. Le bestie tosto gravide e sbassate ungevano il fulgore della luna di ragli supplici, d’urla impetrate.
Presa la strada inversa, in una cuna da un tremito fu scosso l’omarino quatto vi si appartò dietro una duna col ventre sazio d’aria, brama e vino. Ma poiché in blocco ahimè fu costipato le bestie avanti mossero al vicino.
Appena giunto al ciglio trafelato degli asini non v’era alcuna traccia né del malloppo tanto sospirato. Quelli con tutto il peso sulla faccia sì tanto sporti all’uscio del vicino che a lui restò la feccia e la vinaccia.
Trasposizione in versi di una omonima fiaba popolare dal libro Fiabe pugliesi scelte da Giovanni Battista Bronzini e tradotte da Giuseppe Cassieri, Oscar Mondadori, 1983. |
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