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La sorte malandrina

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Saldi al contado nell’Apulia mia

tiravano a campare due compari,

un asino per uno in sorte ria.

Assenti in quelle lande i lupanari

ogni anima sperava che la notte

desse la stura a sogni e altri ripari.

 

Passati i tempi bui del nulla a frotte

sembrò la sorte uno di lor lambire.

In sogno gli soffiò su per le rotte

d’inganno d’Ostro in modo alle sue mire.

-          In tale posto recati per l’oro

con le bisacce e l’asino - il suo dire.

 

All’alba già sbuffava come un toro

che spifferò all’amico quell’arcano

perché con l’asino s’unisse al coro.

Ma questi infastidito dal baccano

negò l’aiuto e sentenziò:  - se intende

sull’uscio la fortuna molla il grano.

 

Tratta la bestia a sé levò le tende

promessa ch’ebbe parte del bottino.

Con gli asini a cavezza e senza mende

alfine giunse al posto del destino.

Qui trovò un fosso largo come un guazzo

ricolmo sino all’orlo d’oro fino.

 

Scie di diamanti gli occhi a mo’ d’un lazzo

e con le mani concave a saccate

empiva le bisacce in un gavazzo.

Le bestie tosto gravide e sbassate

ungevano il fulgore della luna

di ragli supplici, d’urla impetrate.

 

Presa la strada inversa, in una cuna

da un tremito fu scosso l’omarino

quatto vi si appartò dietro una duna

col ventre sazio d’aria, brama e vino.

Ma poiché in blocco ahimè fu costipato

le bestie avanti mossero al vicino.

 

Appena giunto al ciglio trafelato

degli asini non v’era alcuna traccia

né del malloppo tanto sospirato.

Quelli con tutto il peso sulla faccia

sì tanto sporti all’uscio del vicino

che a lui restò la feccia e la vinaccia.

 

 

Trasposizione in versi di una omonima fiaba popolare dal libro Fiabe pugliesi scelte da Giovanni Battista Bronzini e tradotte da Giuseppe Cassieri, Oscar Mondadori, 1983.

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